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FAQ

I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali previste dal legislatore e, quindi, non possono sostituire il contributo di un professionista qualificato. Si declina ogni responsabilità per errori, omissioni, aggiornamento ovvero per un utilizzo improprio delle informazioni contenute nel sito.

La denuncia è una manifestazione di scienza con cui si porta a conoscenza dell’Autorità Giudiziaria l’avvenuta commissione di un reato procedibile d’ufficio. Può provenire da chiunque, sia esso vittima del reato o un terzo estraneo che, ad esempio, abbia assistito alla commissione di un reato. La querela, invece, è una dichiarazione di volontà con cui la vittima di un reato, procedibile a querela, manifesta la propria volontà che l’Autorità Giudiziaria proceda per un reato commesso ai suoi danni. In questi casi, se la querela manca, non è presentata nei termini o viene presentata da soggetto non legittimato, l’azione penale non avrà inizio.

A norma dell’art. 333 c.p.p. il privato cittadino, se ha notizia di un reato procedibile d’ufficio, può farne denuncia. Si tratta, dunque, di una facoltà e non di un obbligo. Solo in casi espressamente previsti dalla legge il privato ha l’obbligo di denuncia: il caso più importante è quello del sequestro di persona a scopo di estorsione la cui omessa denuncia da parte di chi abbia conoscenza di qualunque circostanza relativa al sequestro è punita con la reclusione fino a tre anni (non sono, però, punibili i prossimi congiunti del soggetto sequestrato).

A norma dell’art. 124 c.p., il termine per proporre querela è di tre mesi dal giorno in cui si ha notizia del fatto di reato. Per alcuni reati è però previsto un termine maggiore (ad esempio, per il reato di stalking e di violenza sessuale il termine è di sei mesi).

La querela può essere presentata ad un ufficiale di polizia giudiziaria, al pubblico ministero presso la Procura della Repubblica, presso ogni presidio delle forze dell’ordine oppure ad un agente consolare all’estero.

La querela può essere ritirata (il termine giuridico è “remissione di querela”) con dichiarazione resa a qualunque ufficiale di polizia giudiziaria (ad esempio presso un commissariato di Polizia o una stazione dei Carabinieri). La querela può essere ritirata anche nel corso del procedimento penale davanti all’Autorità Giudiziaria procedente.

La querela può essere ritirata fino a quando non sia intervenuta sentenza definitiva.

 

Per i reati di violenza sessuale la querela, una volta proposta, è irrevocabile (art. 609 septies c.p.).

Si. La persona, sia essa fisica o giuridica, offesa dal reato oppure, in ogni caso, la parte che ha subito semplicemente un danno derivante dal reato (danneggiato), può richiedere il risarcimento del danno subito attraverso la costituzione di parte civile, atto con il quale interviene nel processo penale diventando parte processuale al pari dell’imputato e del Pubblico Ministero.

No. Nel processo penale, in caso di condanna, è possibile ottenere una sentenza che obbliga il condannato al risarcimento dell’intero danno subito dalla parte civile e, in presenza di giustificati motivi, detta disposizione può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva. Solo in caso di impossibilità per il giudice penale di quantificare il danno subito, può essere pronunciata condanna generica al risarcimento del danno e le parti, in questo caso, dovranno rivolgersi al giudice civile per la successiva quantificazione. Nel caso in cui la quantificazione del danno, nel processo penale sia possibile solo parzialmente, il giudice penale può assegnare a favore della parte civile una somma a titolo di “acconto” (la provvisionale immediatamente esecutiva), rimettendo le parti davanti al giudice civile per la quantificazione completa dell’intero danno subito.

A seconda del reato commesso, sono previste pene detentive (l’ergastolo, la reclusione e l’arresto) e pene pecuniarie (la multa e l’ammenda).

La riforma Cartabia ha previsto che, dal 30 dicembre 2022, reclusione ed arresto possano essere sostituiti, dal giudice, con la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva.

 

La semilibertà sostitutiva è la più severa delle pene sostitutive, e può essere disposta dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a quattro anni. Comporta l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in uno degli istituti di pena ordinari, individuato per favorire la rieducazione del condannato in prossimità del luogo di residenza, di lavoro, di domicilio o studio.
Le rimanenti ore del giorno possono essere trascorse all’esterno, per svolgere attività di lavoro, di studio, di formazione professionale utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale, secondo un programma di trattamento approvato dal giudice e predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) che avrà il compito di vigilare ed assistere il condannato in semilibertà. Per favorire il reinserimento sociale del condannato, questa pena sostitutiva non è di ostacolo al mantenimento o al conseguimento della patente di guida.

Il giudice può applicare la suddetta pena sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a quattro anni. La detenzione domiciliare comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione (o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette), per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice. Il luogo di detenzione, inoltre, è soggetto a precisi limiti in relazione alle esigenze di tutela della persona offesa, e nel caso in cui il condannato non disponga di un domicilio idoneo, verrà predisposto dall’UEPE il programma di trattamento individuando soluzione abitative, anche comunitarie, adeguate alla detenzione domiciliare. Il giudice, se lo ritiene necessario per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità. 

Può essere disposto dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a tre anni. Comporta la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato e, solitamente, viene svolta nell’ambito della regione in cui ridiede il condannato. Comporta la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore, ma la durata giornaliera della prestazione non può, comunque, oltrepassare le otto ore. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.

La pena pecuniaria sostitutiva è applicabile dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiori ad un anno. L’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva è individuato dal giudice tramite un valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato, moltiplicandolo per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro, determinato tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.

Ad esclusione della pena pecuniaria sostitutiva, le altre pene sostitutive comportano sempre il divieto di porto e detenzione d’armi, il divieto di frequentare pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione, l’obbligo di rimanere nel territorio individuato dal giudice, il ritiro del passaporto e la sospensione di ogni altro documento idoneo all’espatrio, e l’obbligo di avere sempre con sé il provvedimento applicativo della pena sostitutiva.

La prescrizione del reato implica l’estinzione dello stesso quando sia trascorso un determinato periodo di tempo dalla sua commissione, scaduto il quale il legislatore non ha più interesse a che il reato venga accertato ed il colpevole punito. Non sono soggetti a prescrizione, e quindi sono sempre perseguibili anche a distanza di molto tempo, i reati per cui la legge prevede la pena dell’ergastolo. L’art. 157 codice penale stabilisce il tempo necessario perché un reato possa considerarsi prescritto: la prescrizione interviene decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge o comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato. Il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi specificatamente previsti dal legislatore in cui si verifica la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare: in questo caso la prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa di sospensione. Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna e può, altresì, essere, interrotto nei casi specificatamente previsti dal legislatore, e la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell’interruzione. Salvo che si proceda per alcuni reati previsti dall’art. 51 commi 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà o di due terzi in alcuni casi di recidiva previsti dall’art. 99 codice penale, e del doppio nei casi di delinquente abituale o professionale.

Ha previsto che la prescrizione del reato cessi definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado.

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 231/2001 non sono più solo le persone fisiche a poter essere perseguite nel caso di commissione di reati penali. Con la predetta legge, infatti, è stata introdotta una forma di responsabilità a carico di società ed altri enti associativi (persone giuridiche) di natura formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale (la responsabilità è accertata e le sanzioni sono irrogate nell’ambito e con le regole del processo penale). L’ente è direttamente responsabile per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, quando i reati sono commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente da soggetti con potere di impegnare, gestire e controllare l’ente stesso (definiti “soggetti apicali”) o da persone a questi sottoposte.

Dalla sua entrata in vigore, il legislatore ha più volte integrato l’elenco dei reati che determinano l’applicazione del D.Lgs. 231/2001: reati in tema di erogazioni pubbliche; reati societari; reati tributari; corruzione e concussione, peculato, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione, abuso di ufficio; truffa aggravata ai danni dello Stato; delitti informatici e trattamento illecito di dati; falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo; reati contro la personalità individuale; abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato; delitti di criminalità organizzata; reati transnazionali; delitti di omicidio e lesioni colpose conseguenti alla violazione della disciplina riguardante la sicurezza sul lavoro e la prevenzione degli infortuni (D. Lgs 81/2008); reati in materia di riciclaggio, ricettazione e impiego di denaro o beni illeciti; delitti contro l’industria e il commercio; delitti in materia di violazione del diritto d’autore.

Il sistema sanzionatorio previsto dal D.Lvo 231/2001 colpisce l’ente attraverso sanzioni pecuniarie sempre applicate (da euro 25.000 fino ad euro 1.550.000) diversificate in funzione del reato commesso nonchè proporzionate alla gravità del fatto ed al grado di responsabilità dell’ente. Per alcune ipotesi delittuose, comprese quelle colpose, ma escluse le ipotesi di reati societari e di abusi di mercato, oltre alla sanzione pecuniaria vengono previste sanzioni interdittive temporanee, la loro durata si estende da tre mesi a due anni (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di licenze e concessioni, divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione, esclusione o revoca di finanziamenti e contributi, divieto di pubblicizzare beni e servizi). In presenza di reiterate violazioni del D.Lvo 231/2001, sono previste anche sanzioni interdittive definitive. Il legislatore ha, inoltre, previsto che le sanzioni interdittive, ricorrendone i presupposti, possano essere adottate anche sotto forma di misure cautelari. Con la sentenza di condanna, infine, è disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato ed è prevista, altresì, la sanzione della pubblicazione della sentenza.

Si. L’art. 6 del decreto 231/01 prevede che in caso di reato compiuto da soggetto in posizione apicale, l’ente non è responsabile se prima della commissione del fatto abbia adottato ed attuato modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati analoghi a quello verificatosi; abbia affidato ad un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento di detti modelli e di curare il loro aggiornamento (“Organismo di Vigilanza”); a fronte del reato sia stata riscontrata l’elusione fraudolenta dei modelli organizzativi; il menzionato Organismo di Vigilanza abbia espletato le sue funzioni nel modo corretto.

L’art. 186 del Codice della Strada prevede tre distinti scaglioni a seconda del tasso alcolemico riscontrato, prevedendo la pena (arresto e/o ammenda) e la sospensione della patente di guida nelle seguenti misure:
a) ammenda da euro 500 a euro 2.000, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da tre mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni.
Le pene sono raddoppiate se il conducente provoca un incidente, inoltre si dispone il fermo amministrativo sul veicolo per la durata di centoottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla commissione dell’illecito.

La confisca, per effetto della quale il bene confiscato diventa di proprietà dello Stato, è prevista laddove sia accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, se il veicolo è di proprietà del conducente. Se il proprietario del veicolo è un terzo, non può essere disposta la confisca, ma la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata.

Nel caso di rifiuto, il conducente è punito con le stesse pene previste nel caso di tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ossia ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e arresto da tre mesi a un anno. La sospensione della patente di guida avrà una durata da sei mesi a due anni. E’ inoltre prevista la confisca del mezzo, salvo che il veicolo appartenga ad un terzo estraneo alla violazione.

L’art. 187 C.d.S. punisce la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. La pena è raddoppiata se il conducente provoca un incidente.


Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.

No. In caso di rifiuto il conducente è punito con l’ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e con l’arresto da sei mesi a un anno. La sospensione della patente di guida avrà una durata da sei mesi a due anni. E’ inoltre prevista la confisca del mezzo, salvo che il veicolo appartenga ad un terzo estraneo alla violazione.

L’art. 189 del Codice della Strada stabilisce come ci si deve comportare in caso di incidente, regolando le ipotesi di omissione di soccorso per cui è previsto, in particolari circostanze, anche l’arresto. L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. Le persone coinvolte in un incidente devono porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità. Ove dall’incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione, secondo le disposizioni dell’art. 161. Gli agenti in servizio di polizia stradale, in tali casi, dispongono l’immediata rimozione di ogni intralcio alla circolazione, salva soltanto l’esecuzione, con assoluta urgenza, degli eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell’incidente. In ogni caso i conducenti devono, altresì, fornire le proprie generalità, nonché le altre informazioni utili, anche ai fini risarcitori, alle persone danneggiate o, se queste non sono presenti, comunicare loro nei modi possibili gli elementi sopraindicati. Chiunque non ottempera all’obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 302,00 a euro 1.208,00. In tale caso, se dal fatto deriva un grave danno ai veicoli coinvolti tale da determinare l’applicazione della revisione di cui all’articolo 80, comma 7, si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da quindici giorni a due mesi, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI. Chiunque, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Nei casi di cui al presente comma sono applicabili le misure previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall’ articolo 280 del medesimo codice, ed è possibile procedere all’arresto, ai sensi dell’articolo 381 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena normalmente previsti. Chiunque, inoltre, non ottemperi all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall’incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all’arresto stabilito per il caso di flagranza di reato. Nei confronti del conducente che, entro le ventiquattro ore successive al fatto di cui al comma 6, si mette a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del comma 6. Chiunque non ottempera alle disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 87,00 a euro 344,00.

Si intende il reato di “atti persecutori”, previsto dall’art. 612 bis c.p., che punisce con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5/2/1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto di stalking è punito a querela di parte, il termine per proporre querela è di sei mesi, anziché dei consueti tre mesi. È possibile unicamente la remissione processuale della querela, per evitare eventuali condizionamenti ai danni della vittima.
Vi sono, peraltro, casi in cui detto reato è procedibile d’ufficio e, dunque, la querela non è necessaria: se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio ovvero nel caso in cui il responsabile fosse già stato ammonito dal questore.

 

Sì. Oltre all’arresto facoltativo in caso di flagranza e alle consuete misure cautelari, quali, ad esempio, la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, il Giudice può disporre, ai sensi dell’art. 282 ter c.p.p., il divieto di avvicinamento alla vittima. Con tale provvedimento il Giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.
Inoltre, qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa e, se sussistono ulteriori esigenze di tutela, anche con suoi prossimi congiunti.
Da ultimo, quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.

  • art. 314 c.p. Peculato
    Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi.
    Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
  • art. 317 c.p. Concussione
    Commette il delitto di concussione il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. La pena prevista è la reclusione da quattro a dodici anni.
  • art. 318 c.p. Corruzione per un atto d’ufficio
    Commette il delitto di corruzione per un atto d’ufficio il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro od altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa. La pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino ad un anno.
  • art. 319 c.p. Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio
    Commette il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio il pubblico ufficiale, che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa. La pena prevista è la reclusione da due a cinque anni.
  • art. 319 ter c.p. Corruzione in atti giudiziari
    La norma stabilisce che se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da sei a dodici anni.
    Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da sei a quattordici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da otto a venti anni.
  • art. 323 c.p. Abuso d’ufficio
    Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, commette il reato di abuso d’ufficio il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. La pena prevista è la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
  • art. 336 c.p. Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale
    Commette il delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale chiunque usi violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio. L’autore del reato è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.
  • art. 337 c.p. Resistenza a un pubblico ufficiale
    Commette il delitto di resistenza a pubblico ufficiale chiunque usi violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza. Il responsabile è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
  • art. 341 bis c.p. Oltraggio a pubblico ufficiale
    Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi fino a tre anni. La pena è aumentata se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto.
  • art. 348 c.p. Abusivo esercizio di una professione.
    Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino da sei mesi a 3 anni o con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attività delle persone che sono concorse nel reato medesimo.
  • art. 364 c.p. Omessa denuncia di reato da parte del cittadino
    Il cittadino, che, avendo avuto notizia di un delitto contro la personalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce la pena di morte o l’ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all’Autorità indicata nell’art. 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
  • art. 367 c.p. Simulazione di reato
    Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, afferma falsamente essere avvenuto un reato, ovvero simula le tracce di un reato, in modo che si possa iniziare un procedimento penale per accertarlo, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
  • art. 368 c.p. Calunnia
    E’ punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato. La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo.
  • art. 372 c.p. Falsa testimonianza.
    E’ punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, deponendo come testimone innanzi all’Autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato.
  • art. 377 c.p. Intralcio alla giustizia
    Si configura il reato di intralcio alla giustizia per chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni dal difensore nel corso dell’attività investigativa, o alla persona chiamata a svolgere attività di perito, consulente tecnico o interprete, per indurla a commettere i reati previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi, ridotte dalla metà ai due terzi. La stessa disposizione si applica qualora l’offerta o la promessa sia accettata, ma la falsità non sia commessa. Il comma 3 prevede inoltre, chiunque usa violenza o minaccia ai fini indicati al primo comma, soggiace, qualora il fine non sia conseguito, alle pene stabilite in ordine ai reati di cui al medesimo primo comma, diminuite in misura non eccedente un terzo. Le pene previste ai commi primo e terzo sono aumentate se concorrono le condizioni di cui all’articolo 339. 5. La condanna importa l’interdizione dai pubblici uffici.
  • art. 414 c.p. Istigazione a delinquere
    Chiunque pubblicamente istiga a commettere uno o più reati è punito, per il solo fatto dell’istigazione: 1) con la reclusione da uno a cinque anni, se trattasi di istigazione a commettere delitti; 2) con la reclusione fino a un anno, ovvero con la multa fino a lire duemila, se trattasi di istigazione a commettere contravvenzioni. Se si tratta di istigazione a commettere uno o più delitti e una o più contravvenzioni, si applica la pena stabilita nel numero 1). Alla pena stabilita nel numero 1) soggiace anche chi pubblicamente fa l’apologia di uno o più delitti. La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
  • art. 416 c.p. Associazione per delinquere
    Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni. Per il solo fatto di partecipare all’associazione, la pena è della reclusione da uno a cinque anni. I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori. Se gli associati scorrono in armi le campagne o le pubbliche vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più. Se l’associazione è diretta a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600 c.p. (riduzione in schiavitù), 601 c.p. (tratta di persone) e 602 c.p. (acquisto o alienazione di schiavi), nonché all’articolo 12, comma 3-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (fattispecie aggravate di promozione, direzione, organizzazione, finanziamento dell’immigrazione clandestina) si applica la reclusione da cinque a quindici anni nei confronti promotori, costitutori, organizzatori e da quattro a nove anni nei confronti dei partecipanti all’associazione.
  • art. 416 bis c.p. Associazioni di tipo mafioso anche straniere
    Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni. L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisette anni nei casi previsti dal secondo comma. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nel presente articolo sono aumentate da un terzo alla metà. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.
  • art. 473 c.p. Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni
    E’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000 chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. I delitti previsti dal presente articolo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
  • art. 474 c.p. Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
    Fuori dei casi di concorso nei reati previsti dall’articolo 473 c.p. (contraffazione), chiunque introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000. Fuori dei casi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000. I delitti previsti dal presente articolo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
  • art. 514 c.p. Frodi contro le industrie nazionali
    E’ punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa non inferiore a 516 euro chiunque, ponendo in vendita o mettendo altrimenti in circolazione, sui mercati nazionali o esteri, prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi contraffatti o alterati, cagiona un nocumento all’industria nazionale. Se per i marchi o segni distintivi sono state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà industriale, la pena è aumentata e non si applicano le disposizioni degli articoli 473 e 474 c.p.
  • art. 544 bis c.p. Uccisione di animali
    E’ punito con la reclusione da quattro mesi a due anni chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale.
  • art. 544 ter c.p. Maltrattamento di animali
    Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. La pena è aumentata della metà se, cagionando lesioni all’animale o sottoponendolo a sevizie, comportamenti, fatiche o lavori insopportabili, deriva la morte dello stesso.
  • art. 544 quater c.p. Spettacoli o manifestazioni vietati
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni e con la multa da 3.000 a 15.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà se gli spettacoli o le manifestazioni predette sono organizzate o promosse in relazione all’esercizio di scommesse clandestine o al fine di trarne profitto per sé od altri ovvero se ne deriva la morte dell’animale.
  • art. 544 quinquies c.p. Divieto di combattimenti tra animali
    Chiunque promuove, organizza o dirige combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 50.000 a 160.000 euro. La pena è aumentata da un terzo alla metà: 1) se le predette attività sono compiute in concorso con minorenni o da persone armate; 2) se le predette attività sono promosse utilizzando videoriproduzioni o materiale di qualsiasi tipo contenente scene o immagini dei combattimenti o delle competizioni; 3) se il colpevole cura la ripresa o la registrazione in qualsiasi forma dei combattimenti o delle competizioni. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, allevando o addestrando animali, li destina sotto qualsiasi forma e anche per il tramite di terzi alla loro partecipazione ai combattimenti sopra indicati è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro. La stessa pena si applica anche ai proprietari o ai detentori degli animali impiegati nei combattimenti e nelle competizioni predette, se consenzienti. Chiunque, anche se non presente sul luogo del reato, fuori dei casi di concorso nel medesimo, organizza o effettua scommesse sui combattimenti e sulle competizioni non autorizzate tra animali che possono metterne in pericolo l’integrità fisica è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
  • art. 570 c.p. Violazione degli obblighi di assistenza famigliare.
    Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 euro a 1.032 euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 sopra riportati. Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.
  • art. 571 c.p. Abuso dei mezzi di correzione o disciplina
    Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
    Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni (572).
  • art. 572 c.p. Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli
    Chiunque maltratta una persona della famiglia o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a venti anni.
  • art. 573 c.p. Sottrazione consensuale di minorenni
    Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni quattordici, col consenso di esso, al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a due anni. La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine.
  • art. 574 c.p. Sottrazione di persone incapaci
    Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la potestà dei genitori, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni. Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio.
  • art. 574 bis c.p. Sottrazione e trattenimento di minore all’estero
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della potestà genitoriale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Se i fatti sopra indicati sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori.
  • art. 581 c.p. Percosse
    Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 309 euro. Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.
  • art. 582 c.p. Lesione personale
    Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il delitto è di regola procedibile a querela della persona offesa, sempre che non ricorrano alcune ipotesi aggravate.
  • art. 583 c.p. Circostanze aggravanti del delitto di lesioni
    La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni: 1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva: 1) una malattia certamente o probabilmente insanabile; 2) la perdita di un senso; 3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella.
  • art. 583 quinquies c.p. Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso
    Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. La condanna ovvero l’applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il reato di cui al presente articolo comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno.
  • art. 584 c.p. Omicidio preterintenzionale
    Chiunque, con atti diretti a commettere percosse o lesioni personali, cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.
  • art. 588 c.p. Rissa
    Chiunque partecipa a una rissa è punito con la multa fino a 2.000 euro. Se nella rissa taluno rimane ucciso, o riporta lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da sei mesi a sei anni. La stessa pena si applica se la uccisione, o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.
  • art. 589 c.p. Omicidio colposo
    Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
  • art. 589 bis c.p. Omicidio stradale
    Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La pena di cui al comma precedente si applica altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto.
  • art. 590 c.p. Lesioni personali colpose
    Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a 309 euro. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 123 euro a 619 euro; se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da 309 euro a 1.239 euro. Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni. Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque. Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi di lesioni gravi o gravissime, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
  • art. 590-bis c.p. Lesioni personali stradali gravi o gravissime
    Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa a taluno una lesione personale, è punito con la reclusione da tre a cinque anni per le lesioni gravi e da quattro a sette anni per le lesioni gravissime. Le pene di cui al comma precedente si applicano altresì al conducente di un veicolo a motore di cui all’articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime. Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa a taluno lesioni personali, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a tre anni per le lesioni gravi e da due a quattro anni per le lesioni gravissime. 5. Le pene di cui al comma precedente si applicano altresì: 1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime; 2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime; 3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa a taluno lesioni personali gravi o gravissime. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena è aumentata se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena è diminuita fino alla metà. Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni lesioni a più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni sette. Il delitto è punibile a querela della persona offesa se non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo.
  • art. 595 c.p. Diffamazione
    Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
  • art. 596 c.p. Esclusione della prova liberatoria
    Il colpevole del delitto di diffamazione non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo, prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale: 1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni; 2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale; 3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabili le disposizioni relative al reato diffamazione.
  • art. 596 bis c.p. Diffamazione col mezzo della stampa
    Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo 596 c.p. si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57 c.p. (reati commessi col mezzo della stampa periodica), 57-bis c.p. (reati commessi col mezzo della stampa non periodica) e 58 c.p. (stampa clandestina).
  • art. 600 ter c.p. Pornografia minorile e art. 600 quater 1 c.p. Pornografia virtuale
    In base all’art. 600 ter codice penale, commette il reato di pornografia minorile chi, utilizzando minori degli anni diciotto, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche. Il reato è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico come sopra descritto. Chiunque, al di fuori delle ipotesi appena indicate, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico realizzato impiegando persone minorenni, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2.582 euro a 51.645 euro. Chiunque, inoltre, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico realizzato impiegando persone minorenni, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164. E’ prevista, infine, un aggravante con aumento di pena fino a due terzi ove il materiale sia di ingente quantità. In base all’art. 600 quater 1 codice penale, il reato di pornografia minorile sussiste anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo rispetto a quella prevista dall’art. 600 ter. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
  • art. 600 quater c.p. Detenzione o accesso a materiale pornografico
    Commette il reato di detenzione di materiale pornografico previsto dall’art. 600 quater codice penale chiunque, al di fuori delle ipotesi di pornografia minorile previste dall’articolo 600-ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto. E’ prevista la reclusione fino a tre anni e la multa non inferiore a euro 1.549, e la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi se il materiale detenuto è di ingente quantità. Fuori dei casi di cui al primo comma, chiunque, mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione, accede intenzionalmente e senza giustificato motivo a materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa non inferiore a euro 1.000. Il medesimo reato può essere commesso, in base all’art. 600 quater1 c.p., quando il materiale pornografico è costituito da immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali.
  • art. 609 bis e 609 ter c.p. Violenza sessuale e relative circostanze aggravanti
    Commette il reato di violenza sessuale previsto dall’art. 609 bis codice penale chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa taluno a compiere o subire atti sessuali. E’ prevista la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto ovvero traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. L’art. 609 ter codice penale prevede, per il reato di violenza sessuale, le seguenti circostanze aggravanti: la pena prevista è aumentata della metà se i fatti di violenza sessuale sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; sono aumentate di un terzo se il reato è stato commesso con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; oppure da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; oppure su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; oppure nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore; oppure all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa. La pena, invece, è raddoppiata se il fatto è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.
  • art. 609 quater c.p. Atti sessuali con minorenne
    In base all’art. 609 quater codice penale, soggiace alla stessa pena stabilita dall’articolo 609-bis per la violenza sessuale (reclusione da sei a dodici anni) chiunque compia atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza. Al di fuori delle ipotesi di violenza sessuale, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore che, con l’abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, è punito con la reclusione fino a 4 anni. Non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi di violenza sessuale, compia atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi mentre si applica la pena della reclusione da sette a quattordici anni se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.
  • art. 609 septies c.p. Regole particolari in tema di procedibilità dei reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni
    L’articolo 609 septies del codice penale detta regole specifiche per quanto concerne la procedibilità dei reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenni previsti dagli articoli 609 bis e 609 ter. I delitti previsti, infatti, da detti articoli sono punibili a querela della persona offesa che deve essere proposta entro dodici mesi dal fatto e la querela così proposta è irrevocabile (diversamente dagli altri reati per cui il termine è di tre mesi e la querela è sempre rimettibile). Si procede tuttavia d’ufficio, senza la necessità di una querela, nei seguenti casi: 1) se la violenza sessuale è commessa nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni diciotto; 2) se il fatto è commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore, ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza; 3) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni; 4) se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
  • art. 609 octies c.p. Violenza sessuale di gruppo
    La violenza sessuale di gruppo, prevista e punita dall’art. 609 octies codice penale, consiste nella partecipazione, da parte di più persone riunite, ad atti di violenza sessuale, e chiunque commetta atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da otto a quattordici anni. Si applicano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 609-ter, vale a dire se i fatti di violenza sessuale sono commessi nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; oppure con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; oppure da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio; oppure su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; oppure nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore; oppure all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto di istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa; o, infine, nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci. Sono previste, poi, diminuenti specifiche.
  • art. 609 undicies Adescamento di minorenni
    Commette il reato di adescamento di minore chiunque, allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies, adesca un minore di anni sedici, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni. Per adescamento si intende qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione. 2. La pena è aumentata: 1) se il reato è commesso da più persone riunite; 2) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività; 3) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave; 4) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

 

  • art. 610 c.p. Violenza privata
    Commette il reato di violenza privata chiunque, attraverso violenza o minaccia, costringe altre persone a fare, tollerare od omettere qualche cosa. E’ prevista la reclusione fino a quattro anni. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma.
  • art. 612 ter c.p. Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. 2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. 3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. 4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. 5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
  • art. 612 c.p. Minaccia
    In base all’art. 612 del codice penale, chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa sino a 51 euro. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p., la pena è della reclusione fino ad un anno e si procede d’ufficio, ovvero se la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti ad effetto speciale diverse dalla recidiva, ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità.
  • art. 614 c.p. Violazione di domicilio
    L’azione criminosa punita dall’art. 614 del codice penale, consiste nell’introdursi nell’abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero s’ introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. La pena è da due a sei anni se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.
    Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d’ufficio quando il fatto è commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato o se il fatto è commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.
  • art. 615 bis c.p. Interferenze illecite nella vita privata
    In base all’art. 615 bis del codice penale, chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata che si svolge nei luoghi indicati nell’art. 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Alla stessa pena soggiace, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde mediante qualsiasi mezzo d’informazione al pubblico, le notizie o le immagini, ottenute nei modi indicati nella prima parte di questo articolo. I delitti sono punibili a querela della persona offesa; tuttavia si procede d’ufficio e la pena è la reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.

 

  • art. 615 ter c.p. Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (introdotto dall’art. 4 della legge 23 dicembre 1993 n. 547)
    Attraverso l’introduzione di questo articolo, il legislatore ha assicurato la protezione del “domicilio informatico” da considerarsi quale spazio ideale di pertinenza della sfera individuale. E’ punito chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, con la reclusione fino a tre anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore di sistema; 2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è palesemente armato; 3) se dal fatto deriva la deriva la distrazione o il danneggiamento del sistema o l’interruzione totale o parziale del suo funzionamento ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei programmi in esso contenuti. Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da tre a otto anni. Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa; negli altri casi si procede d’ufficio.
  • art. 615 quater c.p. Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, codici e altri mezzi atti all’accesso a sistemi informatici o telematici
    Questa norma completa la tutela predisposta dal legislatore con il reato di “accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico”, andando a punire l’abusiva acquisizione e diffusione di codici di accesso ai sistemi informatici o telematici protetti da misure di sicurezza. Chiunque si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti, codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso ad un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza, o comunque fornisce indicazioni o istruzioni idonee al predetto scopo, è punito con la reclusione sino a due anni e con la multa sino a euro 5.164. La pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da euro 5.164 a 10.329 se ricorre taluna delle circostanze di cui al quarto comma dell’articolo 617-quater.
  • art. 615 quinquies c.p. Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico (aggiunto dall’art. 4 della legge 23 dicembre 1993 n. 547 e poi sostituito dall’art. 4 della legge 18 marzo 2008 n. 48)
    Questa disposizione è volta, da una parte, a tutelare l’integrità e la funzionalità dei sistemi informatici, andando a colpire l’allarmante diffusione dei cd. “virus informatici” e, dall’altra, a proteggere il patrimonio informatico da tali aggressioni. La condotta tipizzata prevede che, chiunque, allo scopo di danneggiare illecitamente un sistema informatico o telematico, le informazioni, i dati o i programmi in esso contenuti o ad esso pertinenti ovvero di favorire l’interruzione, totale o parziale, o l’alterazione del suo funzionamento, si procura abusivamente, detiene, produce, riproduce, importa, diffonde, comunica, consegna, o, comunque, mette a disposizione di altri apparecchiature o installa, dispositivi o programmi informatici, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa sino a euro 10.329.
  • art. 617 quater c.p. Intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (introdotto dall’art. 6 della legge 23 dicembre 1993 n. 547)
    Questa norma è posta a salvaguardia della segretezza delle comunicazioni effettuate tramite sistemi informatici o telematici. Chiunque fraudolentemente intercetta comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrente tra più sistemi, ovvero le impedisce o le interrompe, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la stessa pena si applica a chiunque rivela, mediante qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte, il contenuto delle comunicazioni di cui al primo comma. I delitti di cui ai commi primo e secondo sono punibili a querela della persona offesa. Tuttavia si procede d’ufficio e la pena è della reclusione da tre a otto anni se il fatto è commesso: 1) in danno ad un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità; 2) da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, ovvero con abuso delle qualità di operatore del sistema; 3) da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
  • art. 617 quinquies c.p. Detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (introdotto dall’art. 6 della legge 23 dicembre 1993 n. 547)
    La fattispecie mira a punire ogni tipo di attività preparatoria all’intercettazione, indipendentemente dal conseguimento dello scopo prefissato e punisce chiunque, fuori dai casi consentiti dalla legge, al fine di intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, ovvero di impedirle o interromperle, si procura, detiene, produce, riproduce, diffonde, importa, comunica, consegna, mette in altro modo a disposizione di altri o installa apparecchiature, programmi, codici, parole chiave o altri mezzi atti ad intercettare, impedire o interrompere comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico ovvero intercorrenti tra più sistemi, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
    La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’art. 617 quater.
  • art. 617 sexies c.p. Falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche o telematiche (introdotto dall’art. 6 della legge 23 dicembre 1993 n. 547)
    Questa disposizione condanna le condotte di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni informatiche e telematiche e, dunque, chiunque, al fine di procurare a se o ad altri un vantaggio o di arrecare ad altri un danno, forma falsamente ovvero altera o sopprime, in tutto o in parte, il contenuto, anche occasionalmente intercettato, di taluna delle comunicazioni relative ad un sistema informatico o telematico o intercorrenti tra più sistemi, è punito, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni nei casi previsti dal quarto comma dell’articolo 617 quater. Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa.
  • art. 635 bis c.p. Danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici (Questo articolo, aggiunto dall’art. 9 della legge 23 dicembre 1993 n. 547, è stato così sostituito dall’art. 5 comma 1, della legge 18 marzo 2008, n. 48)
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque distrugge, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui, è punito a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è della reclusione da uno a quattro anni e si procede d’ufficio.
  • art. 635 quater c.p. Danneggiamento di sistemi informatici o telematici (Questo articolo è stato inserito dall’art. 5, comma 2, della legge 18 marzo 2008 n. 48)
    In base all’art. 635 quater c.p. codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, mediante le condotte di cui all’art. 635 bis, ovvero attraverso l’introduzione o la trasmissione di dati, informazioni o programmi, distrugge, danneggia, rende in tutto o in parte, inservibili sistemi informatici o telematici altrui o ne ostacola gravemente il funzionamento è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se il fatto è commesso con violenza alla persona o con minaccia ovvero con abuso della qualità di operatore del sistema, la pena è aumentata.
  • art. 640 ter c.p. Frode informatica (Questo articolo è stato introdotto dall’art. 10 della legge 23 dicembre 1993 n. 547)
    Commette il reato di frode informatica ed è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032 chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità sui dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549 se ricorre una delle circostanze previste dal numero 1) del secondo comma dell’art. 640, ovvero se il fatto produce un trasferimento di denaro è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti.  Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze di cui al secondo comma o un’altra circostanza aggravante.
  • art. 628 c.p. Rapina
    La condotta tipizzata dall’art. 628 c.p. prevede che chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065. Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità. La pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venti anni e della multa da euro 1.032 a 3.098: 1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata o da più persone riunite; 2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire; 3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’art. 416-bis.
  • art. 629 c.p. Estorsione
    Commette il reato di estorsione chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 516 a 2.065. La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 1.032 a 3.098, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.
  • art. 640 c.p. Truffa
    Questa norma condanna le aggressioni al patrimonio mediante frode, e prevede che chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549: 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare; 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell’autorità. L’ipotesi aggravata è procedibile d’ufficio, diversamente la truffa è normalmente punibile a querela della persona offesa.
  • art. 642 c.p. Fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona (Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 24 della legge 12 dicembre 2002 n. 273)
    Chiunque, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di un’assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di in contratto di assicurazione è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi, al fine predetto, cagiona a sé stesso una lesione personale, o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro. Se il colpevole consegue l’intento, la pena è aumentata. Si procede a querela di parte. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche se il fatto è commesso all’estero, in danno di un assicuratore italiano, che eserciti la sua attività nel territorio dello Stato. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
  • art. 644 c.p. Usura
    E’ punito per il reato d’usura chiunque, fuori dai casi previsti dall’art. 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione in denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a 30.000. Alla stessa pena soggiace chi, fuori dei casi di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro o altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (L. 7.3.1996, n.108). Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica e finanziaria. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Le pene sono aumentate da un terzo alla metà: 1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; 2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari; 3)se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno; 4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale; 5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione. Nel caso di condanna, o anche di patteggiamento, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni e utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni.
  • art. 322 D.Lvo 14/2019 (già art. 216 R.D. 267/1942) Bancarotta fraudolenta e bancarotta preferenziale
    È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore, che: a) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti; b) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica all’imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che, durante la procedura, commette alcuno dei fatti preveduti dalla lettera a) ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili. È punito con la reclusione da uno a cinque anni l’imprenditore in liquidazione giudiziale che, prima o durante la procedura, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione (c.d. bancarotta preferenziale). Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni.
  • art. 323 D.Lvo 14/2019 (già art. 217 R.D. 267/1942) Bancarotta semplice
    È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore, che, fuori dai casi preveduti nell’articolo 322 (bancarotta fraudolenta): a) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale; d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa; e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale. La stessa pena si applica all’imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.
  • Art. 326 D.Lvo 14/2019 (già art. 219 R.D. 267/1942) Circostanze aggravanti e circostanza attenuante
    Se i fatti di bancarotta fraudolenta), bancarotta semplice (e di ricorso abusivo al credito) hanno cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità, le pene previste sono aumentate fino alla metà. Le pene sono aumentate anche nei seguenti casi: 1) se il colpevole ha commesso più fatti di bancarotta; 2) se il colpevole per divieto di legge non poteva esercitare un’impresa commerciale. Se, invece, i fatti di bancarotta hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità, le pene sono ridotte fino al terzo.
  • Art. 329 D.Lvo 14/2019 (già art. 223 R.D. 267/1942) Fatti di bancarotta fraudolenta commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale
    Si applicano le pene stabilite nell’art. 322 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. Si applica alle persone suddette la pena prevista dal primo comma dell’art. 322, se: 1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621 (false comunicazioni sociali, c.d. falso in bilancio), 2622 (false comunicazioni sociali delle società quotate), 2626 (indebita restituzione dei conferimenti), 2627 (illegale ripartizione degli utili e delle riserve), 2628 (illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante), 2629 (operazioni in pregiudizio dei creditori), 2632 (formazione fittizia del capitale), 2633 ( indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori) e 2634 (infedeltà patrimoniale) del codice civile; 2) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società. Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’ultimo comma dell’art. 322 comma 4.
  • Art. 330 D.Lvo 14/2019 (già 224 R.D. 267/1942) Fatti di bancarotta semplice commessi da persone diverse dal fallito.
  • Si applicano le pene stabilite nell’art. 323 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate in liquidazione giudiziale, i quali: 1) hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo; 2) hanno concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge.
  • art. 2621 c.c. False comunicazioni sociali (c.d. falso in bilancio)
    Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
  • art. 2622 c.c. False comunicazioni sociali delle società quotate (c.d. falso in bilancio)
    Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni. 2. Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate: 1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea; 2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano; 3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea; 4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono. 3. Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
  • art. 2625 c.c. Impedito controllo
    Gli amministratori che, occultando documenti o con altri idonei artifici, impediscono o comunque ostacolano lo svolgimento delle attività di controllo legalmente attribuite ai soci, o ad altri organi sociali, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro (1). Se la condotta ha cagionato un danno ai soci, si applica la reclusione fino ad un anno e si procede a querela della persona offesa. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
  • art. 2626 c.c. Indebita restituzione dei conferimenti
    Gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un anno
  • art. 2627 c.c. Illegale ripartizione degli utili e delle riserve
    Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno. La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato
  • art. 2628 c.c. Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante
    Gli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote sociali, cagionando una lesione all’integrità del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge, sono puniti con la reclusione fino ad un anno. La stessa pena si applica agli amministratori che, fuori dei casi consentiti dalla legge, acquistano o sottoscrivono azioni o quote emesse dalla società controllante, cagionando una lesione del capitale sociale o delle riserve non distribuibili per legge. Se il capitale sociale o le riserve sono ricostituiti prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio in relazione al quale è stata posta in essere la condotta, il reato è estinto.
  • art.  2629 c.c. Operazioni in pregiudizio dei creditori
    Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato.
  • art.  2634 c.c. Infedeltà patrimoniale
    Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena si applica se il fatto è commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata o del gruppo, se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa.
  • art. 2637 c.c. Aggiotaggio
    Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
  • art.  2639 c.c. Estensione delle qualifiche soggettive (c.d. amministratore di fatto)
    Per i reati previsti dal presente titolo (dal 2621 al 2638 cod. civ.) al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione. Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati dall’autorità giudiziaria o dall’autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi.
  • art. 72 Attività illecite.
    L’art. 72 del Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti (Decreto Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) stabilisce che è unicamente consentito l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto.
  • art. 73 Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope.
    Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17 del T.U., coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14 del T.U., è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. Con le medesime pene è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17 del T.U., importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene: a) sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale; b) medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezione A, che eccedono il quantitativo prescritto. In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da un terzo alla metà. Chiunque, essendo munito dell’autorizzazione di cui all’articolo 17 del T.U., illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II di cui all’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000. Le pene di cui al comma 2 si applicano anche nel caso di illecita produzione o commercializzazione delle sostanze chimiche di base e dei precursori di cui alle categorie 1, 2 e 3 dell’allegato I al presente testo unico, utilizzabili nella produzione clandestina delle sostanze stupefacenti o psicotrope previste nelle tabelle di cui all’articolo 14. Le stesse pene si applicano a chiunque coltiva, produce o fabbrica sostanze stupefacenti o psicotrope diverse da quelle stabilite nel decreto di autorizzazione. Quando le condotte di cui al comma 1 riguardano i medicinali ricompresi nella tabella II, sezioni A, B , C e D, limitatamente a quelli indicati nel numero 3-bis) della lettera e) del comma 1 dell’articolo 14 e non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 17, si applicano le pene ivi stabilite, diminuite da un terzo alla metà. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Nell’ipotesi di cui al comma 5 (lieve entità), limitatamente ai reati di cui al presente articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste. Con la sentenza il giudice incarica l’Ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. L’Ufficio riferisce periodicamente al giudice. In deroga a quanto disposto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dall’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’articolo 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte. Se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro, la pena è aumentata. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
    L’ultimo comma, aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202, prevede che nel caso di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti, a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, è ordinata la confisca delle cose che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, fatta eccezione per il delitto di cui al comma 5, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto.
  • art. 74 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
    Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70 comma 4,6 e 10, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni. Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. La pena è aumentata se il numero degli associati è di dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. Se l’associazione è armata la pena, nei casi indicati dai commi 1 e 3, non può essere inferiore a ventiquattro anni di reclusione e, nel caso previsto dal comma 2, a dodici anni di reclusione. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. La pena è aumentata se ricorre la circostanza di cui alla lettera e) del comma 1 dell’articolo 80. Se l’associazione è costituita per commettere i fatti descritti dal comma 5 dell’articolo 73 (fatti di lieve entità), si applicano il primo e il secondo comma dell’articolo 416 del codice penale. Le pene previste dai commi da 1 a 6 sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti. Quando in leggi e decreti è richiamato il reato previsto dall’articolo 75 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogato dall’articolo 38, comma 1, della legge 26 giugno 1990, n. 162, il richiamo si intende riferito al presente articolo. Aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. 29 ottobre 2016, n. 202 è il comma 7-bis, che ordina nei confronti del condannato la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e dei beni che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto. 
  • art. 2 D.Lvo 74/2000 – Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
    E’ punito con la reclusione da quattro anni a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 100.000, si applica la reclusione da sei mesi a sei anni.
  • art. 3 Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.
     Fuori dai casi previsti dall’articolo 2, è punito con la reclusione da tre a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 300.000; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro 1.500.000, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro 30.000.
    In base alle disposizioni del presente articolo  il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria, da ultimo ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
  • art. 4 Dichiarazione infedele.
    Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro 100.000; b)  l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro 2.000.000. Questa norma stabilisce infine al comma 1-bis che ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali. Ultima previsione al comma 1-ter fuori dei casi di cui al comma 1-bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b).
  • art. 5 Omessa dichiarazione.
    E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a euro 50.000. Inoltre è punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila. Ai fini della disposizione prevista dal comma 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
  • art. 8 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
    È punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Ai fini dell’applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato. Se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a euro 100.000 per periodo di imposta, si applica la reclusione da 1 anno e sei mesi a sei anni.
  • art. 9 Concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
     In deroga all’articolo 110 del codice penale: a) l’emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 2; b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall’articolo 8.
    art. 10 Occultamento o distruzione di documenti contabili.
    Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
  • art. 10 bis Omesso versamento di ritenute certificate.
    È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta
  • art. 10 ter Omesso versamento di IVA
    È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro 250.000 per ciascun periodo d’imposta.
  • art. 10 quater Indebita compensazione
    La disposizione di cui all’ articolo 10-bis dispone che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro. Inoltre al comma 2 si stabilisce che è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai 50.000 euro.
  • art. 11 Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte
    Al comma 1 di questo articolo si dispone che è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro 50.000, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro 200.000 si applica la reclusione da un anno a sei anni. Inoltre è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro 50.000. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro 200.000 si applica la reclusione da un anno a sei anni.
  • art. 12 Pene accessorie previste per i reati finanziari
    La condanna per taluno dei delitti previsti dal decreto 74/2000 importa: a) l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni; d) l’interdizione perpetua dall’ufficio di componente di commissione tributaria; e) la pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 36 del codice penale. La condanna per taluno dei delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 8 importa altresì l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni, salvo che ricorrano le circostanze previste dagli articoli 2, comma 3, e 8, comma 3. Per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto l’istituto della sospensione condizionale della pena di cui all’articolo 163 del codice penale non trova applicazione nei casi in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore al 30 per cento del volume d’affari; b) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a 3.000.000 di euro.