La denuncia è una manifestazione di scienza con cui si porta a conoscenza dell’Autorità Giudiziaria l’avvenuta commissione di un reato procedibile d’ufficio. Può provenire da chiunque, sia esso vittima del reato o un terzo estraneo che, ad esempio, abbia assistito alla commissione di un reato. La querela, invece, è una dichiarazione di volontà con cui la vittima di un reato, procedibile a querela, manifesta la propria volontà che l’Autorità Giudiziaria proceda per un reato commesso ai suoi danni. In questi casi, se la querela manca, non è presentata nei termini o viene presentata da soggetto non legittimato, l’azione penale non avrà inizio.
A norma dell’art. 333 c.p.p. il privato cittadino, se ha notizia di un reato procedibile d’ufficio, può farne denuncia. Si tratta, dunque, di una facoltà e non di un obbligo. Solo in casi espressamente previsti dalla legge il privato ha l’obbligo di denuncia: il caso più importante è quello del sequestro di persona a scopo di estorsione la cui omessa denuncia da parte di chi abbia conoscenza di qualunque circostanza relativa al sequestro è punita con la reclusione fino a tre anni (non sono, però, punibili i prossimi congiunti del soggetto sequestrato).
A norma dell’art. 124 c.p., il termine per proporre querela è di tre mesi dal giorno in cui si ha notizia del fatto di reato. Per alcuni reati è però previsto un termine maggiore (ad esempio, per il reato di stalking e di violenza sessuale il termine è di sei mesi).
La querela può essere presentata ad un ufficiale di polizia giudiziaria, al pubblico ministero presso la Procura della Repubblica, presso ogni presidio delle forze dell’ordine oppure ad un agente consolare all’estero.
La querela può essere ritirata (il termine giuridico è “remissione di querela”) con dichiarazione resa a qualunque ufficiale di polizia giudiziaria (ad esempio presso un commissariato di Polizia o una stazione dei Carabinieri). La querela può essere ritirata anche nel corso del procedimento penale davanti all’Autorità Giudiziaria procedente.
La querela può essere ritirata fino a quando non sia intervenuta sentenza definitiva.
Per i reati di violenza sessuale la querela, una volta proposta, è irrevocabile (art. 609 septies c.p.).
Si. La persona, sia essa fisica o giuridica, offesa dal reato oppure, in ogni caso, la parte che ha subito semplicemente un danno derivante dal reato (danneggiato), può richiedere il risarcimento del danno subito attraverso la costituzione di parte civile, atto con il quale interviene nel processo penale diventando parte processuale al pari dell’imputato e del Pubblico Ministero.
No. Nel processo penale, in caso di condanna, è possibile ottenere una sentenza che obbliga il condannato al risarcimento dell’intero danno subito dalla parte civile e, in presenza di giustificati motivi, detta disposizione può essere dichiarata provvisoriamente esecutiva. Solo in caso di impossibilità per il giudice penale di quantificare il danno subito, può essere pronunciata condanna generica al risarcimento del danno e le parti, in questo caso, dovranno rivolgersi al giudice civile per la successiva quantificazione. Nel caso in cui la quantificazione del danno, nel processo penale sia possibile solo parzialmente, il giudice penale può assegnare a favore della parte civile una somma a titolo di “acconto” (la provvisionale immediatamente esecutiva), rimettendo le parti davanti al giudice civile per la quantificazione completa dell’intero danno subito.
A seconda del reato commesso, sono previste pene detentive (l’ergastolo, la reclusione e l’arresto) e pene pecuniarie (la multa e l’ammenda).
La riforma Cartabia ha previsto che, dal 30 dicembre 2022, reclusione ed arresto possano essere sostituiti, dal giudice, con la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva.
La semilibertà sostitutiva è la più severa delle pene sostitutive, e può essere disposta dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a quattro anni. Comporta l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in uno degli istituti di pena ordinari, individuato per favorire la rieducazione del condannato in prossimità del luogo di residenza, di lavoro, di domicilio o studio.
Le rimanenti ore del giorno possono essere trascorse all’esterno, per svolgere attività di lavoro, di studio, di formazione professionale utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale, secondo un programma di trattamento approvato dal giudice e predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) che avrà il compito di vigilare ed assistere il condannato in semilibertà. Per favorire il reinserimento sociale del condannato, questa pena sostitutiva non è di ostacolo al mantenimento o al conseguimento della patente di guida.
Il giudice può applicare la suddetta pena sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a quattro anni. La detenzione domiciliare comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione (o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette), per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice. Il luogo di detenzione, inoltre, è soggetto a precisi limiti in relazione alle esigenze di tutela della persona offesa, e nel caso in cui il condannato non disponga di un domicilio idoneo, verrà predisposto dall’UEPE il programma di trattamento individuando soluzione abitative, anche comunitarie, adeguate alla detenzione domiciliare. Il giudice, se lo ritiene necessario per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità.
Può essere disposto dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiore a tre anni. Comporta la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato e, solitamente, viene svolta nell’ambito della regione in cui ridiede il condannato. Comporta la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore, ma la durata giornaliera della prestazione non può, comunque, oltrepassare le otto ore. Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.
La pena pecuniaria sostitutiva è applicabile dal giudice in caso di condanna alla reclusione o arresto non superiori ad un anno. L’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva è individuato dal giudice tramite un valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato, moltiplicandolo per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro, determinato tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Ad esclusione della pena pecuniaria sostitutiva, le altre pene sostitutive comportano sempre il divieto di porto e detenzione d’armi, il divieto di frequentare pregiudicati o persone sottoposte a misure di sicurezza o prevenzione, l’obbligo di rimanere nel territorio individuato dal giudice, il ritiro del passaporto e la sospensione di ogni altro documento idoneo all’espatrio, e l’obbligo di avere sempre con sé il provvedimento applicativo della pena sostitutiva.
La prescrizione del reato implica l’estinzione dello stesso quando sia trascorso un determinato periodo di tempo dalla sua commissione, scaduto il quale il legislatore non ha più interesse a che il reato venga accertato ed il colpevole punito. Non sono soggetti a prescrizione, e quindi sono sempre perseguibili anche a distanza di molto tempo, i reati per cui la legge prevede la pena dell’ergastolo. L’art. 157 codice penale stabilisce il tempo necessario perché un reato possa considerarsi prescritto: la prescrizione interviene decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge o comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato. Il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi specificatamente previsti dal legislatore in cui si verifica la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare: in questo caso la prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa di sospensione. Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna e può, altresì, essere, interrotto nei casi specificatamente previsti dal legislatore, e la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno dell’interruzione. Salvo che si proceda per alcuni reati previsti dall’art. 51 commi 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà o di due terzi in alcuni casi di recidiva previsti dall’art. 99 codice penale, e del doppio nei casi di delinquente abituale o professionale.
Ha previsto che la prescrizione del reato cessi definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado.
Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 231/2001 non sono più solo le persone fisiche a poter essere perseguite nel caso di commissione di reati penali. Con la predetta legge, infatti, è stata introdotta una forma di responsabilità a carico di società ed altri enti associativi (persone giuridiche) di natura formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale (la responsabilità è accertata e le sanzioni sono irrogate nell’ambito e con le regole del processo penale). L’ente è direttamente responsabile per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, quando i reati sono commessi nell’interesse o a vantaggio dell’ente da soggetti con potere di impegnare, gestire e controllare l’ente stesso (definiti “soggetti apicali”) o da persone a questi sottoposte.
Dalla sua entrata in vigore, il legislatore ha più volte integrato l’elenco dei reati che determinano l’applicazione del D.Lgs. 231/2001: reati in tema di erogazioni pubbliche; reati societari; reati tributari; corruzione e concussione, peculato, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione, abuso di ufficio; truffa aggravata ai danni dello Stato; delitti informatici e trattamento illecito di dati; falsità in monete, in carte di pubblico credito e in valori di bollo; reati contro la personalità individuale; abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato; delitti di criminalità organizzata; reati transnazionali; delitti di omicidio e lesioni colpose conseguenti alla violazione della disciplina riguardante la sicurezza sul lavoro e la prevenzione degli infortuni (D. Lgs 81/2008); reati in materia di riciclaggio, ricettazione e impiego di denaro o beni illeciti; delitti contro l’industria e il commercio; delitti in materia di violazione del diritto d’autore.
Il sistema sanzionatorio previsto dal D.Lvo 231/2001 colpisce l’ente attraverso sanzioni pecuniarie sempre applicate (da euro 25.000 fino ad euro 1.550.000) diversificate in funzione del reato commesso nonchè proporzionate alla gravità del fatto ed al grado di responsabilità dell’ente. Per alcune ipotesi delittuose, comprese quelle colpose, ma escluse le ipotesi di reati societari e di abusi di mercato, oltre alla sanzione pecuniaria vengono previste sanzioni interdittive temporanee, la loro durata si estende da tre mesi a due anni (interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di licenze e concessioni, divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione, esclusione o revoca di finanziamenti e contributi, divieto di pubblicizzare beni e servizi). In presenza di reiterate violazioni del D.Lvo 231/2001, sono previste anche sanzioni interdittive definitive. Il legislatore ha, inoltre, previsto che le sanzioni interdittive, ricorrendone i presupposti, possano essere adottate anche sotto forma di misure cautelari. Con la sentenza di condanna, infine, è disposta la confisca del prezzo o del profitto del reato ed è prevista, altresì, la sanzione della pubblicazione della sentenza.
Si. L’art. 6 del decreto 231/01 prevede che in caso di reato compiuto da soggetto in posizione apicale, l’ente non è responsabile se prima della commissione del fatto abbia adottato ed attuato modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire reati analoghi a quello verificatosi; abbia affidato ad un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo il compito di vigilare sul funzionamento di detti modelli e di curare il loro aggiornamento (“Organismo di Vigilanza”); a fronte del reato sia stata riscontrata l’elusione fraudolenta dei modelli organizzativi; il menzionato Organismo di Vigilanza abbia espletato le sue funzioni nel modo corretto.
L’art. 186 del Codice della Strada prevede tre distinti scaglioni a seconda del tasso alcolemico riscontrato, prevedendo la pena (arresto e/o ammenda) e la sospensione della patente di guida nelle seguenti misure:
a) ammenda da euro 500 a euro 2.000, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) ammenda da euro 1.500 a euro 6.000, l’arresto da tre mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni.
Le pene sono raddoppiate se il conducente provoca un incidente, inoltre si dispone il fermo amministrativo sul veicolo per la durata di centoottanta giorni, salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla commissione dell’illecito.
La confisca, per effetto della quale il bene confiscato diventa di proprietà dello Stato, è prevista laddove sia accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, se il veicolo è di proprietà del conducente. Se il proprietario del veicolo è un terzo, non può essere disposta la confisca, ma la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata.
Nel caso di rifiuto, il conducente è punito con le stesse pene previste nel caso di tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro, ossia ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e arresto da tre mesi a un anno. La sospensione della patente di guida avrà una durata da sei mesi a due anni. E’ inoltre prevista la confisca del mezzo, salvo che il veicolo appartenga ad un terzo estraneo alla violazione.
L’art. 187 C.d.S. punisce la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno. All’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. La pena è raddoppiata se il conducente provoca un incidente.
Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena a richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato.
No. In caso di rifiuto il conducente è punito con l’ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e con l’arresto da sei mesi a un anno. La sospensione della patente di guida avrà una durata da sei mesi a due anni. E’ inoltre prevista la confisca del mezzo, salvo che il veicolo appartenga ad un terzo estraneo alla violazione.
L’art. 189 del Codice della Strada stabilisce come ci si deve comportare in caso di incidente, regolando le ipotesi di omissione di soccorso per cui è previsto, in particolari circostanze, anche l’arresto. L’utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l’obbligo di fermarsi e di prestare l’assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona. Le persone coinvolte in un incidente devono porre in atto ogni misura idonea a salvaguardare la sicurezza della circolazione e, compatibilmente con tale esigenza, adoperarsi affinché non venga modificato lo stato dei luoghi e disperse le tracce utili per l’accertamento delle responsabilità. Ove dall’incidente siano derivati danni alle sole cose, i conducenti e ogni altro utente della strada coinvolto devono inoltre, ove possibile, evitare intralcio alla circolazione, secondo le disposizioni dell’art. 161. Gli agenti in servizio di polizia stradale, in tali casi, dispongono l’immediata rimozione di ogni intralcio alla circolazione, salva soltanto l’esecuzione, con assoluta urgenza, degli eventuali rilievi necessari per appurare le modalità dell’incidente. In ogni caso i conducenti devono, altresì, fornire le proprie generalità, nonché le altre informazioni utili, anche ai fini risarcitori, alle persone danneggiate o, se queste non sono presenti, comunicare loro nei modi possibili gli elementi sopraindicati. Chiunque non ottempera all’obbligo di fermarsi in caso di incidente, con danno alle sole cose, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 302,00 a euro 1.208,00. In tale caso, se dal fatto deriva un grave danno ai veicoli coinvolti tale da determinare l’applicazione della revisione di cui all’articolo 80, comma 7, si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da quindici giorni a due mesi, ai sensi del capo I, sezione II, del titolo VI. Chiunque, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Nei casi di cui al presente comma sono applicabili le misure previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall’ articolo 280 del medesimo codice, ed è possibile procedere all’arresto, ai sensi dell’articolo 381 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena normalmente previsti. Chiunque, inoltre, non ottemperi all’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo non inferiore ad un anno e sei mesi e non superiore a cinque anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall’incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all’arresto stabilito per il caso di flagranza di reato. Nei confronti del conducente che, entro le ventiquattro ore successive al fatto di cui al comma 6, si mette a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, non si applicano le disposizioni di cui al terzo periodo del comma 6. Chiunque non ottempera alle disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 87,00 a euro 344,00.
Si intende il reato di “atti persecutori”, previsto dall’art. 612 bis c.p., che punisce con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’art. 3 della legge 5/2/1992 n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto di stalking è punito a querela di parte, il termine per proporre querela è di sei mesi, anziché dei consueti tre mesi. È possibile unicamente la remissione processuale della querela, per evitare eventuali condizionamenti ai danni della vittima.
Vi sono, peraltro, casi in cui detto reato è procedibile d’ufficio e, dunque, la querela non è necessaria: se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere di ufficio ovvero nel caso in cui il responsabile fosse già stato ammonito dal questore.
Sì. Oltre all’arresto facoltativo in caso di flagranza e alle consuete misure cautelari, quali, ad esempio, la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, il Giudice può disporre, ai sensi dell’art. 282 ter c.p.p., il divieto di avvicinamento alla vittima. Con tale provvedimento il Giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa anche disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’art. 275 bis c.p.
Inoltre, qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con la persona offesa e, se sussistono ulteriori esigenze di tutela, anche con suoi prossimi congiunti.
Da ultimo, quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
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